Come si fa in tutte le famiglie, specialmente al Sud, anche nella nostra grande famiglia, la tradizione vorrebbe che in virtù della grande abbuffata della sera, il pranzo fosse parco, sobrio, e dietetico ai limiti del digiuno. Anche per arrivarci in qualche modo… “purificati”.

Si vorrebbe appunto…

Ed ecco che da decenni entrano in gioco i cuddhureddi: dorate zeppoline, morbide dentro e croccanti fuori, realizzate con la farina di grano Core (di nostra produzione), patate e lievito, fritte rigorosamente con il Nostro Olio Extravergine d’Oliva, e ripiene di provola nostrana o acciughe, che sono le due varianti principali.

 

Ma veniamo alla tradizione; una volta questa si rispettava:

 

effettivamente il Pranzo della Vigilia si esauriva coi cuddhureddi, pochi, a cui al massimo si associava simbolicamente qualche oliva schiacciata e qualche sottaceto, o comunque le conserve che avevamo preparato durante l’estate.
Per tanto tempo le cose andarono effettivamente così. Negli anni però, sono un tantino cambiate: saranno state le maggiori disponibilità economiche, il desiderio di far durare di più il pranzo, il compensare compulsivamente la fame che per anni tante famiglie al Sud hanno realmente patito, oppure chissà… Sta di fatto che oggi, e da un po’ di anni, questo è quello che accade:

Allora, quest’anno rispettiamo la tradizione e mangiamo solo qualche frittella, eh, mi raccomando, non come l’anno scorso!
E invece, proprio come l’anno scorso e quello ancora prima, e prima, e prima ancora, succede che “Vabbe’, una ricotta che vuoi che sia…” recita zio Francesco; e poi: “Vabbe’, io porto un po’ di pecorino e la soppressata” rincara zio Luigi; “Ma anche un paio di butirri, che vuoi che siano, no?” minimizza zia Lucia. Poi arriva lo zio Antonio con 3 tonnellate di pane fragrante che solo a sentire il rumore che fa mentre lo tagli mmm… una delizia.

Ed è così che ogni zio, e noi per primi che ospitiamo il Pranzo, per non correre il rischio di restare a bocca asciutta (rischio concreto, è evidente), tutti si finisce con l’imbandire una tavola con: pecorino, ricotte e ricottine, trecce di mozzarelle filanti, ricotte affumicate, salame, soppressate, capocollo, pancetta, pomodori secchi, olive di ogni tipo, giardiniera, pane, paté vari e tanto, tanto altro.

Ah, e i cuddhurreddi? Vabbe’, pochi, eh, non esageriamo. Giusto quelle 60/70 frittelle per sentire il sapore. La frittura poi si sa, sgrassa e ripulisce, no? Lo sanno tutti.

A quel punto, per dare un senso di fresco e di sana alimentazione al tutto, si associano al pacchetto i finocchi freschi, raccolti al mattino nel nostro orto, per autoconvincersi che alla fin fine… ci si è mangiati giusto un paio di frittelle e un po’ di verdure.

 

Quando questo modesto pranzetto volge al termine, è già ora di fare merenda:

vuoi non farti qualche frittellina nella sua versione dolce con lo zucchero sopra e una spolverata di cioccolato? È il minimo, su! Specie se a farle è Nonna Elda.
E così, verso le 17, ci si alza da tavola con dubbio equilibrio, e ci si avvia, puliti dentro e belli fuori, verso le 54 portate delle Cena.

Così si faceva, così si fa, e così si continuerà a fare. Non abbiamo scuse, se non forse una:

Si sa, e noi ci crediamo, dai tempi dei Greci, ma prima ancora, dai tempi in cui gli uomini si siedono a tavola, non si tratta solo di mangiare, ma di stare insieme: di condividere, di ritrovarsi, di trattare questioni importantissime oppure di conversare con leggerezza, e qualche bicchiere di vino, delle più futili cose, dei pettegolezzi più recenti.

Si tratta di litigare per poi fare la pace, per poi tornare a fare la guerra e di nuovo la pace; si tratta di stare insieme, in fin dei conti è questo, sì: stare insieme.

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